Pagina:Storia di torino v1 cibrario 1846.djvu/143


capo quarto 135

prime poteron fuggire; ma raggiunti, perirono sulle forche. Intanto la chiesa e il monastero furono consumati dalle fiamme, e a fatica poterono salvarsi alcuni codici mezzo arsi. Se non che molto prima di quest’ultima epoca, anzi prima del 929, Adalberto, marchese, illustre per lignaggio, genero e cognato di due re d’Italia, ma più illustre per fede, compas­sionando all’infelice stato de’ monaci della Novalesa, ricoverati a Torino, facea loro sentir gli effetti della sua pia liberalità.

Avea cominciato per assegnar ai medesimi la chiesa di Sant’Andrea, posta lungo il muro della porta co­mitale, a settentrione della città (ora la Consolata), con una torre, che forse è quella medesima che an­cora serve di campanile; edificò poscia ai medesimi un magnifico monastero in Breme, luogo del comi­tato di Lomello, dotandolo colle corti di Breme 3 e di Policino; e nel 929 al piccolo monastero di Sant’Andrea di Torino (cella monacorum) pel so­stentamento de’ monaci assegnò il castello e la villa di Gonzole, e la corte di S. Dalmazzo sul fiume Sangone. Il dono è fatto addì 28 di febbraio, ed ab­braccia il dominio, il contile (cioè l’autorità comitale sui luoghi donati), la giurisdizione, il toloneo (ossia la ragion del pedaggio) con tutti i casolari e le ap­partenenze, colle terre, vigne, campi, prati, pascoli, selve, stallaggi, rive, rocce e paludi, coi beni colti ed incolti, divisi ed indivisi, confini e termini, strade