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134 | libro secondo |
custodire il monastero della Novalesa; giunse la cru delissima schiatta pagana; maltrattò così spietatamente que’ vecchi, che ne morirono; e dopo d’aver fatto bottino di tutto ciò che poteano portar via, misero fuoco alla chiesa ed a tutte le case.
Frattanto i monaci venuti in Torino difettando di ogni cosa, e non sapendo ove riporre i libri e le suppellettili preziose, parte ne impegnarono per aver di che sostentarsi, parte ne deposero in casa di Ricolfo, preposto della cattedrale torinese, e loro amico. Se non che essendosi poscia i Mori spinti verso Torino, ed essendo perciò tutta la città in gran turba mento, molti monaci e molti cittadini fuggiti, Ricolfo ed altri che aveano i pegni de’ monaci, morti, la maggior parte del tesoro della Novalesa andò perduta. 2
A questa prima disgrazia altre se ne aggiunsero. La valle di Susa essendo rimasta quasi vuota d’abitatori, vi fu un Arduino che se ne impadronì, come vedremo a suo luogo. E quest’Arduino medesimo, divenuto poi conte di Torino, avendo combattuto felicemente coi Saracini verso la metà del secolo stesso, e tenendone presi due nel castello di porta Segusina, questi macchinando tra loro una via di potersi salvare, niun altra ne trovarono, fuor quella d’appiccar fuoco alla chiesa attigua de’ santi Andrea e Clemente, pensando che levatosi romore per quel l’incendio, al quale trarrebber tutti, essi avrebbero modo di scampare. Così fecero, e di fatto in sulle