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lui opera insigne per gli architetti è stracarica d’inutile erudizione. Accordato questo, siamo anche d’accordo nel resto; purchè voi vi compiacciate di credere, che con quel per lo più, a cui non badaste da principio, io non ho inteso di dire tutti; e che anzi ho inteso di eccettuare realmente questi due scrittori in ispecie dagli altri, che hanno trattato l’erudizione superficialmente. Al più dunque la questione si ridurrà a vedere, se Winkelmann secondo il suo scopo abbia scritto in maniera da potere se non superare, almeno stare al paro di questi due grandi artisti eruditissimi .
Un giornalista, che dà estratto di un libro, e ne fa il confronto col merito di altri, deve prima esaminare quale sia stato l’oggetto degli uni, e degli altri. Quello dell’Alberti, e dello Scamozzi pare che lo abbiate capito, e accennato (e come non intenderlo se è spiattellato sul frontespizio delle loro opere?) che è di fare un trattato d’Architettura universale1. Di Winkelmann no che non lo avete capito. Ben si comprende, che voi avreste desiderato, che egli scrivesse da semplice artista; perchè di tanto in tanto ripetete, sebbene in parte a torto, che le sue ricerche, e osservazioni ben di rado penetrano dentro il midollo dell’arte2; che non danno alcun lume riguardo alla solidità, e alle proporzioni degli edifizj3; che non racchiudono in sè alcun precetto dell’arte, giacchè mai ragiona di proporzioni, e di forme4. Se avesse scritto in quella maniera, allora sì che avreste potuto alzare la voce, e dire, che l’Alberti, il Palladio, e lo Scamozzi molto più copiosamente, e dottamente hanno trattato queste materie. Pertanto Winkelmann, che voleva prevenire, e scansare quello rimprovero, ha preso di mira altre cose. Sappiate dunque, sig. Cavaliere, che dalla sua opera, e dalle sue proteste si vede chiaro, ch’egli non ha voluto rifriggere grossolanamente le cose dette da altri, come avverte in più luoghi5: che nelle sue ricerche fatte nello spazio di cinque, e più anni sì in Roma, che in altre città d’Italia, egli lì è proposto di parlare non tanto dell’architettura universale, ma principalmente delle fabbriche di Roma, e suoi contorni, facendovi osservazioni coi suoi proprj occhi; e in secondo luogo sempre ha cercato di notare cose, colle quali potesse illustrare gli autori antichi greci, e latini, pur troppo non intesi volgarmente, ove trattano di cole riguardanti fabbriche antiche, e in qualunque modo le belle arti. Rileggete le sue osservazioni con questa idea, e vedirete quanto vi Sembreranno diverse, e migliori di quelle dello Scamozzi, e dell’Alberti. Vedrete quanto poco sensatamente abbiate scritto alla pag. LXIX.: Per quanta erudizione abbia tratta dai classici per dirci, che alcune fabbriche erano nella Grecia, e in Roma, o di mattoni crudi, o di tufo, o di travertino, o di marmo, e cose simili, bisogna confessare, che l’Alberti, il Palladio, e lo Scamozzi molto più copiosamente, e dottamente hanno trattato queste materie, come ognuno da sè può riscontrare. Sì, riscontriamo qualcheduna di quelle cose, e vedremo tutto l’opposto. Lo Scamozzi6 parla del travertino, e del peperino, e del luogo, ove si cavano: l’Alberti7 parla del peperino: e come ? come delle pietre di tanti altri paesi, cioè appena di passaggio. Sì questo8,