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344 S t o r i a   dell’A r t e   greca

bato, siaselo conficcato nel petto dopo che vide Canace privatasi di vita1.

[.... di Papirio e sua madre.] §. 28. Come a quello gruppo è stato senza ragione dato il nome di Arria e Peto, così non meglio credesi rappresentato Papirio e sua madre in un altro gruppo della medesima villa degno egualmente de’ floridi tempi dell’arte greca. Lavoro è questo di Menelao scolare di Stefano, come appare dalla greca iscrizione. Ivi s’è voluto ravvisare un tratto storico raccontatoci da Aulo Gellio2, perchè generalmente si sono voluti spiegare colla storia romana gli antichi monumenti, anzichè crederli presi da Omero, o dalla greca mitologia. Che male siagli stato apposto quel nome argomentasi dall’essere opera di greco artefice, che certamente non avrà voluto scegliere un avvenimento de’ Romani, altronde poco importante e forse incerto, poichè Aulo Gellio, che lo riporta, dice d’averlo letto altre volte in un discorso di Catone, cui però più non avea sott’occhio quando ciò scriveva3.

§. 29. Un altro argomento per non ravvisare in questo gruppo Papirio si ricava dalla stessa figura in cui vuolsi rap-


pre-


  1. Igino, il quale nel citato n. 242. parla degli uomini, che da sè stessi si sono uccisi, Avrebbe dovuto dirlo; tanto più che parla della morte di Canace, e di Macareo. Quel che si può dir di sicuro intorno a questo gruppo, è che la statua dell’uomo rassomigiia nei capelli, nei mustacci e nell’aria del volto al supposto Gladiator moribondo di Campidoglio, come è similissimo lo scudo dell’uno, e dell’altro. Da questo si può argomentare con sicurezza, che amendue siano stati soldati di una stessa nazione. E siccome del Gladiatore si è osservato qui avanti alla p. 208. col. 2. che può essere un armigero spartano; cosi spartano potrebbe essere anche l’altro guerriere del gruppo. Lo stile del lavoro di questo, se ne eccettuiamo i restauri del braccio destro, con cui si uccide, e gli altri pochi, non ne farebbe molto diverso.
  2. Noct. att. lib. 1. cap. 23.
  3. Ea Catonis verba huic prorsus commentario indidissem, si libri copia fuisset id temporis cum hæc dictavi, loc. cit. Potrebbe dubitarsi di questo fatto da ciò che aggiugne Aulo Gellio, cioè che i senatori soleano condurre in Senato i loro figliuoli tosto che prendeano la pretesta, all’età di dicisette anni. Fondasi quello dubbio fu Polibio, il quale accusa d’errore due scrittori greci, che pretendeano essere stati i figliuoli de’ Romani introdotti nel Senato all’età di dodici anni, la qual cosa, dic’egli, non è nè verosimile nè vera, poichè certamente la natura non è stata tanto liberale coi Romani, che sapienti ne siano i figliuoli appena nati. Quantunque però Polibio, come scrittore più antico, meritasse più fede, pure io non insisterò sulla di lui testimonianza per confutar Gellio; poichè se non a dodici anni, a dicisette almeno poteano i fanciulli aver luogo in Senato; e questa avventura di Papirio può esser vera, benchè non ne troviamo fatta menzione altrove che presso di lui. Gronovio commentando questo passo avrebbe dovuto citar Polibio.