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guerra, e quando favella questa prima ragione di Stato, è superfluo ricercarne di ulteriori.

Ma il reggente non che non risolversi a tanto, permise invece che il barone Binder, ministro dell’Austria in Torino, vi rimanesse tranquillamente. Il popolo erasi accorto delle arti di costui per gettare i semi di una guerra civile; di lui ad ogni poco narravansi nuovi tentativi, or per corrompere i soldati, or per preparare le trame di una contro-rivoluzione. L’apprensione era grande, s’infiammavano gli animi; un gran numero di cittadini chiesero al principe che lo congedasse, altri a lui stesso n’andarono consigliandolo a partire. Il ministro austriaco non ebbe a dolersi di alcun insulto, ed il popolo adunatosi sulla piazza del palazzo Carignano, non trascorse a disordine di sorta. Binder lasciò Torino. Ma anche in questo notossi l’imprudenza del reggente. Niuno ignora di quanto momento sia a consolidare vera libertà in uno Stato, togliere qualunque forza o preponderanza ai moti popolari; quindi da biasimarsi fu il principe, che conoscendo come il legato dell’Austria fosse oggetto di pubblica agitazione, non seppe rinviarlo a tempo con apparente spontaneità.

E non altrimenti della guerrra all’Austria, la convocazione dei collegi per eleggere un parlamento avrebbe dovuto seguire immediatamente la promulgata costituzione. Ma neanco di questo curossi Carlo Alberto, sebbene il ministro dell’interno si fosse affrettato a presentarne il progetto alla giunta.

Si vide soltanto qualche preparativo di guerra; ma però, chiamati sotto le armi i contingenti pro-