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Alberto avealo dichiarato a San Marsano e a Collegno. All’appressarsi del momento decisivo quel pusillanime giovane erasi sgomentato, ogni suo detto spirava confusione e spavento, voleva e non voleva.

Carlo di San Marsano e Collegno dopo essersi inutilmente affaticati ad infonder calma e coraggio nel cuore del principe, videro impossibile la riuscita di un moto, già concertato sul di lui consenso e coll’indiretta sua cooperazione preparato. Il tempo volava: fu loro forza assumersi la responsabilità di rivocare le disposizioni ch’eransi date per l’indomani.

Nella mattina degli 8 ci fu riferito aver il principe mosso lagnanze dei nostri timori, e noi biasimato di essersi troppo presto smarriti d’animo e d’aver abbandonato l’impresa. I capi della congiura si radunarono: si unì con loro per subitanea ma franca risoluzione il conte di San Michele, colonnello dei cavalleggieri di Piemonte. Senza perdere un istante di tempo un nuovo piano fu tracciato, l’esecuzione fissata pel 10 marzo a giorno fatto.

La sera dell’8 San Marsano e Santarosa, accompagnati da San Michele, alla stessa ora dei due giorni addietro, furono nuovamente dal principe di Carignano. L’avvertirono che la rivoluzione sarebbesi fatta, tacquero il giorno, ommisero i dettagli sulle misure prese, temendo che in altro accesso di debolezza non mandasse nuovamente a vuoto i loro progetti. Il principe scelse per sè una parte più riservata, non somministrò più tutti i mezzi ch’erano in sua mano; diede bensì, come il giorno 6, il suo consenso alla rivoluzione piemontese.