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dell’impresa mi sia lecito dubitare. Ma tutti questi discorsi, in Piemonte, come nel rimanente dell’Italia, giovavano a palesare lo stato dell’opinione; al cui rapido propagarsi fra noi, chi asseverasse non aver Vittorio Emanuele co’ suoi sentimenti corrisposto, commetterebbe ingiustizia. Avventurati giorni di sempre cara rimembranza pel mio paese, quando tutti uniti in un solo pensiero, in una sola speranza, gli occhi nostri si volgevano mesti alla Lombardia, che alfine salutavamo terra di fratelli! Non un Piemontese che non trasalisse al suono di loro catene, che non sentisse ribollirsi il sangue all’immagine di un Milanese prostrato sotto il bastone di austriaco caporale. E se discordi ancora sui mezzi di riparare a’ nostri mali interni tutti però nel desiderio di affratellarci consentivano, e nel bisogno di una patria italiana, cui, a formar valido stato e a guarentirne l’indipendenza, la nazione mirava con ogni maniera di sacrifizj. Ansiosi ripetevamci l’un l’altro le risposte del re a’ ministri dell’Austria in Torino; tutti i suoi detti che rivelavano come il suo cuore si schiudesse al patriotismo italiano, erano da noi premurosamente raccolti, e se taluno avesse chiesto in allora chi fosse il capo di quella indeterminata ma universale congiura che si agitava nel seno d’Italia, niuno avrebbe esitato ad additarlo in Vittorio Emanuele.
Ma i freddi ragionatori, squarciato il velo delle illusioni e dell’entusiasmo, lamentavano la ripugnanza dell’eccelso capo di quella italiana cospirazione, per quei mezzi che pur doveano assicurarne la riuscita. Lo dissi altra fiata, Vittorio Emanuele sbigottiva al-