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tro l’opposto consiglio di qualche ministro; allora, se quest’ultimo avea avuto l’accortezza di mettersi d’accordo col favorito, duravano qualche giorno a combattere uniti quella che chiamavano fissazione del re, il quale, buono com’egli era, finiva quasi sempre per arrendersi, credendo di cedere pel bene dello Stato e di sacrificare la propria opinione al sapere altrui.

Due altri moventi concorrevano all’azione del governo. Parlavasi universalmente dell’influenza esercitata sull’animo del re, dalla regina, e fu esagerazione; ma pur troppo codesta principessa che per avvenenza, soavità di modi, vivacità e piacevolezza di spirito, avea attratto a sè gli animi e deliziato la nostra corte prima della rivoluzione, attesa con impazienza, accolta con entusiasmo al suo ritorno, credette tramutato il paese, e ne concepì ben presto una sinistra prevenzione; i pregiudizii, fatalmente riportati dal suo lungo soggiorno in Sardegna, la condussero in una falsa posizione, e resero avversa a’ miglioramenti sociali. E benchè la sua preponderanza, più che sugli atti del governo, agisse sulla scelta delle persone, non può negarsi ch’ella non sia stata ostacolo al bene, impedendo che Vittorio Emanuele si mettesse francamente sulla via delle interne riforme. Non credo ch’ella scialacquasse, come si volle, le rendite dello stato, ma piuttosto che poco le gradisse il desiderio del re di amministrarle con rigorosa economia, nella qual cosa di sovente, e con riuscita, lo contraddicesse.

Resta a parlare del confessore del re, certo abate Botta, mediocrissimo uomo, avente più gusto che