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vero, ma il pubblico, straniero agli affari, confondeva censurando il bene col male, criticava acremente gli atti del governo, ma con sì poco discernimento e conoscenza dei fatti, ch’era impossibile ne risultasse una opposizione da meritare di esser presa in qualche considerazione, e tanto meno da imporre ai ministri.

Di un passo importante, verso il bene, credeva di aver avanzato il governo, coll’instituire un consiglio di stato permanente sotto la presidenza del re, membri i ministri con portafoglio. Il conte di Roburenti, grande scudiere del re e suo intimo, vi assisteva ordinariamente, e secretario ne era il cav. Cesare di Saluzzo, uomo chiaro nel paese. Ma non so come potessero lusingarsi, avere con ciò dato al governo dell’unità e dell’armonia nel suo andamento. Sarebbe riuscita la cosa con un principe dotato di una intelligenza degli affari, e di una robustezza di carattere, come quella di un Luigi XIV, o di un Vittorio Amedeo; a Vittorio Emanuele, in mezzo dei suoi consiglieri, crescevano le dubbiezze ed i timori di male operare. Niuno dei ministri potea vantarsi di un’autorità che prevalesse nelle bisogna dello stato, ciascuno ne avea un certo dato in quelle ch’erano della sfera di suo ministero. In generale le cose di qualch’entità dipendevano dalla combinazione di tre voleri: del re, del conte di Roburenti, del ministro che le maneggiava, effetto, come ognun vede, ben spesso di casuali circostanze. Accadeva talvolta che il re, acquistata la convinzione di qualche principio, che l’azzardo, od ottimo zelo aveangli suggerito, teneva fermo, con-