Pagina:Storia della rivoluzione piemontese del 1821 (Santarosa).djvu/121

 
 
101


truppa rimasta a Chambery, erano a lui fidi intieramente, ed i Savoiardi, benchè tutti, ad eccezione dei nobili, di libertà amantissimi, non aveano creduto il momento abbastanza opportuno a dichiararsi per una causa che vedeano ridotta a sì mal partito in Piemonte, persuasi d’altronde che appena risorta oltre Alpe la libertà, i Piemontesi non avrebbero tardato a tender loro nuovamante le braccia1.

Il cav. Annibale da Saluzzo, governatore di Nizza, fu più cauto a spiegarsi contro il sistema costituzionale, e ben lungi dall’imitare la foga del governatore di Genova nel render pubblica la dichiarazione di Carlo Felice, egli aspettò a farlo quando l’opinion pubblica seppe depressa dalle sciagure di Napoli; licenziata allora la guardia nazionale di cui era venuto in sospetto, teneasi sempre in pronto il reggimento cacciatori-guardie che formavano l’unica sua forza, e quando il conte Della-Torre lo richiese di far marciare quel reggimento in Piemonte a sostegno di sue operazioni, egli vi si rifiutò adducendo in iscusa la sicurezza del re Vittorio Emanuele2. Il cav. di Saluzzo d’altronde, conoscendo perfettamente le condizioni e lo spirito del Piemonte, ben ravvisava coma l’unico mezzo di troncare la rivoluzione fosse il soccorso dello straniero; ogni altro sforzo riputava inutile, e non mancò di scriverlo allo stesso

  1. Il ministro di guerra calcolava talmente sulle disposizioni della nazione savoiarda a dichiararsi per la libertà in un momento propizio, che non esitò a rimandare in Savoia il reggimento di quel nome, ridotto a 300 uomini (Vedi Doc. U.)
  2. Vittorio Emanuele, in mezzo ai suoi sudditi, era sicuro dovunque, ma bisognava pur trovare una ragione che non ammettesse replica.