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nuta in soggezione la gioventù coll’apparato della forza *, sembrò arridere al governatore un prospero successo. Ma nel giorno seguente i due partiti trovavansi a fronte l’uno dell’altro. Nel 23 si sollevava il popolo1, parte della guarnigione ** con esso lui frater-


* Due pezzi di cannone dalle mura sovrastami al ponte reale vennero rivolti verso la strada di Banchi ove trovavasi il palazzo abitato in allora dal governatore; la truppa era schierata nei dintorni e quando in sul cadere del giorno un attruppamento si era formato sotto il palazzo anzidetto, due colpi di cannone, caricato a sola polvere, lo dispersero. Ma la sera successiva accorso nuovamente il popolo, due scariche di mitraglia seminarono di morti e feriti la strada. Si dissero quei colpi effetto di un malinteso, e die’ luogo a crederlo l’essersi con tal fuoco tirato anche sulla truppa che stava collocata di fronte sotto la Loggia; dimodochè più i soldati che i cittadini ne furono offesi. Cionondimeno questo fatto, coll’esacerbare gli animi, contribuì non poco agli avvenimenti del giorno seguente.
  1. Un corriere, partito il giorno 21 da Torino, il quale assicurava come la capitale continuasse a godere tranquillamente della costituzione sotto la reggenza del principe di Carignano, accese di sdegno gli animi dei Genovesi. Non videro più nel governatore che il perfido capo della contro rivoluzione. Il conte Desgeneys che pur troppo avea annunziato la verità relativamente a Carlo Alberto, ma che non poteva somministrare alcuna prova a scolparsi dalle accuse di menzognero e d’impostore, non avendo avuto dal reggente che comunicazioni verbali, poco mancò non restasse vittima dalle false misure, e della leggerezza del principe.
** Nel giorno 23 di marzo quattro bassi uffiziali della legion reale leggera: Michele Sismondi, Giuseppe Faraut, Pietro Robioglio e Leone Rolla, uscirono dal quartiere delle Grazie alla testa di tre compagnie armate, gridando Viva la Costituzione. Nello stradone di sant’Agostino s’imbatterono nel capitano Arnaud il quale voleva coll’autorità del grado, e colle parole sforzarli a tornare addietro, ma colto esso da due archibugiate, proseguirono sino al palazzo Ducale, ove unitisi con altra compagnia ch’era ivi di guardia, trassero con immenso popolo ad assalire il palazzo del governatore. Quei quattro vennero nel maggio del successivo anno 1822 condannati a morte, in effigie, dal senato di Genova, che nella sua sentenza (Vedi Doc. R.) li dichiarò traditori del re, nemici della patria, perchè autori e promotori di sconvolgimento del