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come a qualunque altro moto rivoltoso di Francia, estranei essi fossero. E valga il vero, ove fosse stato loro pensiero associare la rivoluzione di Piemonte alle turbolenze di Francia, avrebbero abbandonato la Savoia in potere di un conte d’Andezeno? Sfido chiunque a trovar una risposta, un fatto da oppormi1.

Del resto il ministro della guerra non lusingavasi punto di veder eseguiti fedelmente in ogni parte suoi ordini, per quanto precisi e non soggetti a dubbiezza si fosse studiato di darli; sapea pur troppo come l’esecuzione ne potesse venir impedita, stravolta e ritardata da quei molti governatori e comandanti dei corpi lasciati in carica dal reggente, malgrado la manifesta loro avversione pel regime costituzionale. Non avrebbe però mai sospettato che primi ad avverare i suoi timori sarebbero stati Bellotti, Ciravegna e Bussolino; e che codesti tre uffiziali generali potessero abbandonare o tradire la patria nel momento appunto in cui alla fede ed al coraggio de’ suoi figli n’erano affidati i destini2. Bellotti, piemontese, antico generale di brigata nell’armata del regno d’Italia, proscritto dall’Austria, andava debitore al governo costituzionale d’essere stato riposto in attività col grado di maggior generale; la sua diserzione fu l’effetto di quella del reggente.

  1. L’alleanza di un partito rivoluzionario francese, cogli autori della rivoluzione del Piemonte, riferita da M. Beauchamp non è che un romanzo di sua invenzione: egli abbonda nelle sue asserzioni, ma non tardano a smentirle i fatti costanti.
  2. Gifflenga erasi ritirato ad una sua campagna non lungi da Vercelli, da dove poscia si trasferì a Novara, presso a poco nell’epoca della partenza di Carlo Alberto da Torino.