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della rivoluzione di roma | 505 |
Ov’eran dunque i Romani che comandavano, volevano e deliberavano? Noi li vediamo obbedire curvato il collo (salvo piccole eccezioni) ad una accozzaglia cosmopolitica, simile a quella della babelica torre; nè mancò di fatto la confusion delle lingue, perchè in quei tramestio di genti diverse, fra tanti accenti e dialetti svariati, non riconoscevi più la lingua del bel paese che il mar circonda, e l’Alpe, ma pareati invece sentirti aspramente rintronate le orecchie, siccome cantò Dante, da
«Diverse lingue, orribili favelle,
» Parole di dolore, accenti d’ira,
» Voci alte e fioche, e suon di man con elle.»1
Ritornando ora al Lesseps diremo che andate a vuoto le prime proposte di accordi fra le due repubbliche, si esacerbaron per un momento gli umori. Il Lesseps ne parve sdegnato, e forse lo fu realmente. Diciamo parve per lasciarci aperta la strada: imperocchè non è il primo caso in diplomazia che il portato delle parole non rappresenti la verace espressione dell’animo.
Fu conseguenza di questi sdegni veri o esagerati lo aver fatto rialzare subito all’albergo di sua residenza (Hotel d’Allemagne) la bandiera francese,2 e fattala pure rialzare nei palazzo Colonna ov’era la legazione di Francia. Si disse perfino che cogitabondo e sospettoso indossasse la francese uniforme, per non volerla più togliere, e quasi che volesse imporne. Si disse pure che severamente redarguisse taluni Francesi i quali vennegli riferito essersi battuti contro i loro nazionali il 30 aprile. Ei parve in somma che dimesse le apparenze conciliative, assumesse