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48 | storia |
rono per la città vari foglietti, che noi conservammo.1In tutti però si tacque la inflessione di voce colla quale furon pronunziate quelle parole memorande, e in questa infedeltà cadde lo stesso giornale la Bilancia che ne parlò a lungo.2 Nè è a credersi che ciò fosse per caso, ma si fece ad arte onde non si trapelasse nè qui da noi nè in esteri paesi che il Santo Padre manifestavasi apertamente contrario a certe innovazioni o riforme che pur da taluno volevansi ad ogni costo.
E questo fu uno dei tanti inganni di cui seppe giovarsi la rivoluzione. Noi ci trovammo sul Quirinale, e se non fossimo stati disingannati già da prima, sarebber bastate quelle memorande parole: non posso, non devo, non voglio, e quella sdegnosa energia colla quale vennero profferite, per disingannarci completamente. E se la Gazzetta di Roma, dalla quale potevamo aspettarci qualche lume, non riportò fedelmente questo episodio importantissimo delle nostre storie, egli è da inferirsi che anche la Gazzetta di Roma era caduta sotto gl’influssi della rivoluzione.
Ci siamo dilungati alquanto sulla dimostrazione ostile dell’8, febbraio, sul motu-proprio del Santo Padre del 10, sulla susseguente dimostrazione dell’11, e sulle memorabili parole, che furon le prime cui dall’alto della loggia del Quirinale diresse il Santo Padre al popolo romano, perchè questi fatti storici sono fra loro intimamente collegati, e costituiscono una delle parti più importanti, e nel tempo stesso meno dilucidate dagli altri scrittori.
Intanto però le costituzioni piovevano da tutte le parti, ed ogni staffetta recava l’annunzio di una costituzione accordata o sul punto di accordarsi.
In prova di che fin dal giorno 8 un decreto di Carlo Alberto prometteva la costituzione;3 il giorno 10 veniva