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terribile ritratto di tutt’i disordini della Chiesa e dei Papi, e Aletto fulmina ugualmente guelfi e ghibellini, i seguaci della Francia e i seguaci dello Impero. I monaci sono il principale bersaglio di questi strali poetici. Una delle pitture più comiche è quel biricchino di Cingar vestito da Francescano per liberare Baldo dal carcere.

Iam non is Cingar, sed sanctus nempe videtur,
Sub tunicis latitant sacris quam saepe ribaldi!


Notabile è la satira de’ frati nel settimo libro:

Postquam gioccarunt nummos tascasque vodarunt,
Postquam pane caret cophinum, coeladia vino,
In fratres properant, datur his extemplo capuzzus.


La moltiplicità de’ conventi gli fa temere che un bel dì rimanga la gente cristiana senza soldati e senza contadini. Scherza su’ motti del vangelo. Fa una parodia della confessione. I cavalieri erranti giungono alla porta dell’inferno, dov’è parodiata la celebre scritta di Dante:

Regia Luciferi dicor, bandita tenetur
Cohors hic, intrando patet, ast uscendo seratur.


Ma non possono domare l’inferno, se prima non si confessano, e il confessore è Merlino stesso, il poeta:

Nomine Merlinus dicor, de sanguine Mantus,
Est mihi cognomen Coccaius maccaronensis.


Quale confessione i cavalieri possano fare a Merlino, soprattutto Cingar, il lettore s’immagini. È una farsa. Tutta l’opera è penetrata da uno spirito capriccioso e beffardo, che fa di quel mondo in mezzo a cui si trova il suo aperto trastullo, e gli dà forme carnascialesche.

Anche la Moscheide di Merlino è una caricatura o un travestimento carnevalesco della cavalleria in uno