frasi, ma idee, e per maggior libertà si usava non di rado il dialetto e non la lingua. Ci erano i due Verri, il Beccaria, il Baretti, il Balestrieri, il Passeroni; ci era il fiore dell’intelligenza milanese. Si chiamavano i Trasformati, e si può dire, che filosofia, legislazione, economia, politica, morale, tutto lo scibile era già trasformato nelle loro menti, con più o meno di chiarezza e di coscienza. La letteratura non potea sfuggire a questa trasformazione, e alla solennità classica succedeva una forma svelta e naturale, e ne’ più briosa, sentimentale alla francese. Si rideva a spese di Alessandro Bandiera, che voleva insegnar lingua e stile al padre Segneri, da lui tenuto non abbastanza boccaccevole, e di padre Branda, che levava a cielo l’idioma toscano e scriveva vituperii del dialetto. Il Passeroni metteva in canzone quella vecchia società nella Vita di Cicerone e nelle Favole esopiane, e alla vuota turgidezza del Frugoni, ai lambicchi dell’Algarotti, a’ lezii del Bettinelli, che erano i tre poeti alla moda, opponeva quel suo scrivere andante alla buona, tutto buon senso e naturalezza. Bravissimo uomo, senza fiele, senza iniziativa, rideva saporitamente della società, in mezzo alla quale viveva povero e contento. Metastasio, Goldoni e Passeroni erano della stessa pasta, idillici e puri letterati. Sono i tre poeti della transizione. Vedi in loro già i segni di una nuova letteratura, una forma popolare, disinvolta, rapida, liquida, chiara, disposta più alla negligenza che all’artificio. Ma è sempre un giuoco di forma, alla quale manca altezza e serietà di motivi; ci è il letterato, manca l’uomo. Senti in questi riformatori il vecchio uomo italiano, di cui era espressione letteraria l’arcade e l’accademico. Combattevano l’Arcadia, ed erano più o meno arcadi.
In questi tempi di nuove idee e di vecchi uomini nacque Giuseppe Parini, il 22 maggio del 1729. Venuto dal