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com’è nei racconti delle società primitive. Questa ingenuità è perduta, la naturalezza di Gozzi è negligenza e volgarità. Quelle apparizioni non hanno per lui serietà, sono giochi e passatempi; perciò scherzi abborracciati, e senza alcun valore proprio, che, aiutati dalla mimica, da’ lazzi dallo scenario, potevano produrre effetto nella rappresentazione, e alla lettura piacciono, senza che ti lascino nell’animo alcun vestigio. Il Baretti predicava in lui un nuovo Shakespeare, e quando gli fallì alla prova, se la prese con lui furiosamente, come l’avesse tradito, e dovea prendersela con sè medesimo, che andava sognando uno Shakespeare nel secolo decimottavo. Che avvenne? La commedia popolana ritornò nel suo pantano, con le sue maschere, le sue indecenze e le sue volgarità, e di Gozzi rimase una bella idea, presto dimenticata. La società prendeva altra via, e seguiva Goldoni.
Il movimento a Venezia rimase puramente letterario. C’era un centro toscaneggiante nell’accademia de’ Granelleschi, divenuta presto ridicola, della quale erano anima i fratelli Gozzi; e c’era dall’altra parte Goldoni con intenzioni più alte che attingevano l’organismo dell’arte. Il solo Carlo Gozzi presentì il significato politico del movimento, e sonò la campana a stormo; ma nessuno rispose, perchè il nemico non si trovò. Goldoni anche a Parigi non ci capiva nulla in quel vertiginoso rimescolio d’idee, e Rousseau non era per lui che un fenomeno curioso, un magnifico carattere da commedia, qualche cosa come il Burbero benefico. Questa sua concentrazione in un punto solo e la sua perfetta innocenza in tutto l’altro fu la sua forza e la sua debolezza. La sua idea fissa, ch’era rappresentare dal vivo e dal vero e non guastar la natura, era il principio rinnovatore della letteratura negazione dell’Arcadia, ricostituzione del contenuto e della forma, incarnato in al-