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entro il sorriso incredulo della colta borghesia. Rifare questo mondo nella sua ingenuità, drammatizzare la fiaba o la fola, cercare ivi il sangue giovine e nuovo della commedia a soggetto, questo osò Gozzi in presenza di una borghesia scettica e nel secolo de’ lumi, nel secolo degli spiriti forti e de’ belli spiriti. E riuscì a interessarvi il pubblico, perchè quel mondo ha un valore assoluto, e risponde a certe corde che maneggiate da abile mano d’artista suonano sempre nell’animo: ciascuno ha entro di sè più o meno del fanciullo e del popolo. E poichè il pubblico s’interessava ancora alla commedia del Goldoni, se ne doveva conchiudere, se le conclusioni ragionevoli fossero possibili in mezzo alla disputa, che tutti e due i generi erano conformi al vero, l’uno rappresentando la società borghese nella sua mezza coltura, e l’altro il popolo nelle sue credulità e ne’ suoi stupori. E tutti e due erano una riforma della commedia ne’ due suoi aspetti, la commedia dotta e la commedia improvvisa, era l’apparizione della nuova letteratura. Ma questo che fece Gozzi non era precisamente quello che credeva di fare. Ci si messe per picca e per occasione, disprezzava il pubblico che l’applaudiva, non prendeva sul serio la sua opera, e perchè Goldoni imitava dal vero, s’innamorò lui del romanzesco e del fantastico. Ora l’arte non è un capriccio individuale, e perchè Shakespeare ti piace, non ne viene che tu possa rifare Shakespeare, quando anche avessi forza da ciò. L’arte, come religione e filosofia, come istituzioni politiche ed amministrative, è un fatto sociale, un risultato della coltura e della vita nazionale. Gozzi volea rifare un mondo dell’immaginazione, quando egli medesimo segnava la dissoluzione di quel mondo nella Marfisa, quando la parte colta e intelligente della nazione era mossa da impulsi affatto contrarii, e quando il popolo ebete nella sua miseria stava come una massa inerte,