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Usciti son certi autorevol dotti,
Con un tremuoto di nuova scïenza,
Che han tutti gli scrittori mal condotti.
Tratto il lor, di saper non ci è semenza,
Dicono che gli autor morti fur cotti,
E condannano i vivi all’astinenza.
Veggonsi certe nuove Marianne,
Certi Baron, certe Marchese impresse,
Certe fraschette buse come canne,
E le battezzan poi filosofesse.
Che il mal costume introducono a spanne,
Credo il dimonio al torchio le mettesse.
Chi dice: egli è un comporre alla francese.
Certo è peggior del mal di quel paese.
La sua Marfisa è una caricatura dei nuovi romanzi, alla maniera del Chiari. Carlo Magno e i paladini diventano oziosi e vagabondi; Bradamante una spigolistra casalinga; Marfisa, l’Eroina, guasta da’ libri nuovi, vaporosa, sentimentale, isterica, bizzarra, e finisce tisica e pinzochera. La mira era alle donne del Chiari e de’ romanzi in voga. Gli parea che quel predicar continuo dritti naturali, leggi naturali, religione naturale, uguaglianza, fratellanza, dovesse render gli uomini cattivi sudditi, ammaestrandoli di troppe cose, e avvezzandoli a guardare con invidia al di sopra della loro condizione. Questo pericolo era più grave, quando massime tali fossero predicate in teatro, che non era una scola, ma un passatempo, e invocava contro i predicatori di così nuova morale la severità dei governi. Il povero Chiari non ci capiva nulla. Goldoni, che era un puro artista, come il Metastasio, buon uomo e pacifico, e che di tutto quel movimento del secolo non vedeva che la parte letteraria, dovea trasecolare a sentirsi dipingere poco meno che un ribelle, un nemico della società. Vi si mescolarono gl’interessi delle compagnie comiche, che si dispu-