gimento, al quale fra molti ostacoli tendevano gli uomini nuovi, acquistava la sua base positiva, fondata sull’esperienza e sull’osservazione, sulla cosa effettuale, come dicea Machiavelli, e col lume naturale, come dicea Bruno, con la scorta dell’occhio del corpo e della mente, come dicea Galileo, e leggendo nel libro della natura, come dicea Campanella. Cadevano insieme forme scolastiche e forme geometriche; la filosofia usciva dal suo tempo eroico ed entrava nella sua età umana; agli oracoli dottrinali succedevano forme popolari, e vi si affinavano le moderne lingue. La semplicità, la chiarezza, l’ordine, la naturalezza divenivano le qualità essenziali della forma, e n’era un primo e stupendo esempio il Saggio di Locke. Così la filosofia nella sua linea divergente dalla teologia giungeva sino all’opposto, dal soprannaturale e dal soprasensibile giungeva al puro naturale ed al puro sensibile, giungeva al motto: niente è nell’intelletto che non sia stato prima nel senso. E non era già un concetto astratto e solitario, era lo spirito nuovo, penetrato in tutto lo scibile, e che ora, come ultimo risultato, faceva la sua apparizione in filosofia. Anche la morale si emancipava dal precetto divino o ecclesiastico, e cercava la sua base nella natura dell’uomo, e non dell’uomo quale l’avea formato la società, ma nell’integrità e verginità del suo essere. Comparve un dritto naturale, come era comparsa una filosofia naturale; ed entrano in iscena Grozio, Obbes, Puffendorfio. A quel modo che Campanella e Sarpi con tutti i riformati vagheggiavano la Chiesa primitiva nella purità delle sue istituzioni, e in nome di quella attaccavano come alterazione e falsificazione l’opera posteriore dei Papi, i filosofi vagheggiavano l’uomo primitivo, nello stato di natura, e combattevano tutte le istituzioni sociali, che non erano di accordo con quello. Il movimento religioso diveniva anche politico e sociale; l’idea era una che si sentiva ora abbastanza forte per dilatare le