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moriva Campanella in Francia dov’erasi rifuggito, e dove potè pubblicare la sua filosofia.
A Galileo chiusero gli occhi i discepoli. Le sue scoperte ed osservazioni diedero un impulso straordinario alle scienze, e formarono attorno a lui una scuola di filosofi naturali, Castelli, , Torricelli, Borelli, Viviani, illustri non solo per valore scientifico, ma per bontà di scrivere. Veniva il mondo, di cui erano stati precursori incompresi e perseguitati Alberto Magno e Ruggiero Bacone, Galileo ripigliava la bandiera con miglior fortuna. E l’Italia, maestra di Europa nelle lettere e nelle arti, aveva ancora il primato nelle scienze positive, o, come dicevasi, nella filosofia naturale. Qui venivano ad imparare gli stranieri; qui Copernico imparava il moto della terra, e qui imparava Harvey la circolazione del sangue. Qui sorgeva l’accademia del Cimento, dove provando e riprovando si studiava la natura. Geografia, astronomia, anatomia, medicina, botanica, ottica, meccanica, geometria, algebra ebbero qui i loro primi cultori e propagatori. Tra gli scrittori giova mentovare Francesco Redi, in cui fa la sua ultima comparsa il toscano, già finito e chiuso in sè, e Lorenzo Magalotti, di una limpidezza già vicina alla forma moderna.
Altro fu il fato del Campanella. Come Bruno, è un naturalista, e crede che la filosofia non si possa fondare che sui fatti. Onde Galileo tirava questa conseguenza, che dunque bisognava prima studiare i fatti. In tanta scarsezza di fatti naturali, morali, sociali ed economici, in tante lacune delle scienze positive filosofare significava foggiarsi un mondo a modo degli antichi filosofi greci, con l’immaginazione divinatrice, ed avere per risultato l’ipotetico e il probabile, anzi che il certo e il vero. Questo, pensava Galileo, non è scienza. Pure è chiaro che una certa idea del mondo l’avevano anche