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rie, che dal Castelvetro e dal Caro in qua mettevano in moto tante accademie. Il Guarini si difese assai bene nell’apologia, e mostrò coscienza chiarissima della sua opera. Forse il teatro spagnuolo non fu senza influenza sulla sua critica, ma come tutto si diffiniva con l’autorità de’ classici, difese quell’innesto di azioni e quella mescolanza di caratteri con Aristotile alla mano e con l’Andria di Terenzio. Oggi gli si fa gloria di quello che allora si reputava peccato. Si dice ch’egli abbia intraveduto il dramma moderno, e non solo lo intravide, ma lo concepì con l’esattezza di un critico odierno. La poesia dee rappresentare la vita così com’è, con le sue mescolanze e i suoi sviluppi; questo è il concetto ch’esce chiaramente dal suo discorso. Ma quello che in Shakespeare e in Calderon è sentimento dell’arte sviluppato naturalmente in una vita nazionale, ricca e piena, in lui è visione intellettuale e solitaria, è concetto di critico, non sentimento di artista; concepiva il dramma quando del dramma mancavano tutte le condizioni in Italia, principalmente una vita seria e sostanziale. La sua critica fa onore all’intelletto italiano, allora nel fiore del suo sviluppo, e rivela insieme la decadenza della facoltà poetica.

Il Pastor fido, come meccanismo ed esecuzione tecnica, è ciò che di più perfetto offriva la poesia. Due azioni entranti naturalmente l’una nell’altra e magnificamente innestate, caratteri ben trovati e ben disegnati e perfettamente fusi nella loro mescolanza, una superficie levigata con l’ultima eleganza, una versificazione facile, chiara e musicale fanno di questo poemetto, per ciò che si attiene a costruttura e ad abilità tecnica, un giojello. Tutto ciò che chiarezza d’intelletto e industria di stile e di verso può dare, è qui dentro. Il concetto, come nell’ Aminta, è il trionfo della Natura, con la quale il Destino in lotta apparente si