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armonico e conciliante; così scisso e inquieto e pieno di pentimenti nel suo mondo poetico, come nella vita pratica. Miserabile trastullo del suo cuore e della sua immaginazione, fu là il suo martirio e la sua gloria. Cercando un mondo esteriore ed epico in un repertorio già esaurito, vi gittò dentro sè stesso, la sua idealità, la sua sincerità, il suo spirito malinconico e cavalleresco, e là trovò la sua immortalità. Ivi si sente la tragedia di questa decadenza italiana. Ivi la poesia prima di morire cantava il suo lamento funebre, e creava Tancredi, presentimento di una nuova poesia, quando l’Italia sarà degna di averla.
Questo mondo lirico che nella Gerusalemme si trova mescolato con altri elementi, apparisce in tutta la sua purezza idillica ed elegiaca nell’Aminta. Ivi il Tasso incontra il vero mondo del suo spirito e lo conduce a grande perfezione.
L’Aminta non è un dramma pastorale e neppure un dramma. Sotto nomi pastorali e sotto forma drammatica è un poemetto lirico, narrazione drammatizzata, anzi che vera rappresentazione, come erano le tragedie e le commedie e i così detti drammi pastorali in Italia. Citerò la Virginia dell’Accolti resa celebre dall’imitazione di Shakespeare. Essa è in fondo una novella allargata a commedia di quel carattere romanzesco che dominava nell’immaginazione italiana, aggiuntavi la parte del buffone, che è il Ruffo, la cui volgarità fa contrasto con la natura cavalleresca de’ due protagonisti, Virginia e il principe di Salerno. Gli avvenimenti più strani si accavallano con magica rapidità, ap-