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La stessa ispirazione petrarchesca è nelle ultime parole di Sofronia:

Mira il ciel com’è bello, e mira il sole
Che a sè par che ne inviti e ne console.

Movimento lirico che ricorda immagini simili di Dante e del Petrarca, accompagnate nel Tasso da un tono alquanto pedantesco, quando vuol darvi uno sviluppo puramente dottrinale e religioso, come nelle prime parole di Sofronia, che hanno aria di una riprensione amorevole fatta da un confessore a un condannato a morte, o nelle parole di Piero a Tancredi, che hanno aria di predica. La sua anima candida e nobile la senti più nelle sue imitazioni petrarchesche e platoniche, che in ciò che tira dal fondo dottrinale e tradizionale religioso. Sofronia, che fa una lezione a Olindo, ricorda Beatrice che ne fa una simile e più aspra a Dante; ma Beatrice è nel suo carattere, è tutta l’epopea di quel secolo, ci è in lei la santa, la donna, ed anche il dottore di teologia; Sofronia è rigida, tutta di un pezzo, costruzione artificiale e solitaria in un mondo dissonante, perciò appunto esagerata nelle sue tinte religiose, a cominciare da quella vergine di già matura verginità per finire in quel bruttissimo:

.    .    .    .    .    .    .    Ella non schiva,
Poi che seco non muor, che seco viva.

In questa eroina, martire della fede, non ci è la santa con le sue estasi e i suoi ardori oltremondani, e non ci penetra il femminile con la sua grazia e amabilità. È uscita dal cervello concetto cristiano con reminiscenze pagane e platoniche. Colui che l’ha concepita, pensava a Eurialo e Niso, a Beatrice e a Laura. La creatura è rimasta nel suo intelletto, e non ha avuto la forza di penetrare nella sua coscienza e nella sua immaginazione