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gioso è manifestato in Armida, la concupiscenza, o il senso, e in Ubaldo, voce della donna celeste o della ragione. Ma la ragione parla, e il senso morde, come dice il Petrarca, e l’interesse poetico è tutto intorno ad Armida. La ragione usa una rettorica più pagana che cristiana, e mostra aver pratica più con Seneca e con Virgilio che con la Bibbia; il fonte della sua morale non è il Paradiso, ma la gloria. La ragione parla, e Armida opera, circondata di artificii e di allettamenti. E l’autore qui si trova nel campo suo, e s’immerge in fantasie ariostesche, profane, idilliche, che crede trasformate in poesia religiosa, perchè in ultimo vi appicca la verga aurea immortale di Ubaldo, e la sua rettorica. Rinaldo, il convertito, non ha una chiara personalità, perchè quello che è e quello che diviene non si sviluppa nella sua coscienza, e non par quasi opera sua, ma influsso di potenze malefiche e benefiche, le quali se lo contendono. Il dramma è tutto esterno, e rimane d’assai inferiore alla confessione di Dante, penetrata da spirito religioso. Quanto al rimanente, Rinaldo è una reminiscenza del Rinaldo o Orlando ariostesco in proporzioni ridotte, come Argante è una reminiscenza di Rodomonte, con faccia più seria. Più tardi Rinaldo trasformato in Riccardo divenne una Reminiscenza di Achille, Sveno mutato in Ruperto fu reminiscenza di Patroclo, e Solimano divenne Mezenzio, e Argante Ettore. Reminiscenze cavalleresche, reminiscenze classiche, più vivaci e fresche le prime, come più vicine e ancora sonanti nello spirito italiano.
Il Tasso sentiva confusamente che il poema non gli era venuto così conforme al suo tipo religioso, com’egli aveva in mente. E nella Gerusalemme conquistata cercò supplirvi. Ma cosa fece? Accentuò qualche allegoria, diluì il sogno di Goffredo, appiccò al bel viaggio al di là dell’Oceano, sola ispirazione moderna e degna di Ca-