pagandosi, non si cura non che di giungere al fine, ma di posarsi per lo cammino, e va sempre, e se il fiato non le mancasse, continuamente tutta sua vita camminerebbe: però a’ numeri ricorriamo li quali attraversando la strada piacevolmente con lusinghe e con vezzi a rinfrescarsi e albergare con loro la invitino, e non volendo la cortesia, vogliono usare le forze e per ben suo, mal suo grado, con violenzia l’arrestino.» Con questi criterii non è maraviglia che a lungo andare si sia giunto a tale, che un predicatore componeva i suoi periodi a suon di musica. E si comprende anche che lo Speroni fabbricasse a questo modo i suoi periodi, e quanta ammirazione dovessero destare i periodi con tanto artificio congegnati del Bembo, del Casa o del Castiglione. La parola ebbe una sua personalità, fu isolata dalla cosa; e ci furono parole pure e impure, belle e brutte, aspre e dolci, nobili e plebee. Nella scelta delle parole stava il segreto della eleganza. Si cercava non la parola propria, ma la parola ornata, o la perifrasi; la ripetizione era peccato mortale, e se la cosa era la stessa dovea cercarsi una diversa parola, tacere i nomi proprii, e ogni cosa delle altrui voci adornare, come lo Speroni nota del Petrarca, il quale chiamò la testa oro fino o tetto d’oro; gli occhi soli, stelle, zaffiri, nido e albergo d’amore; le guance or neve e rose, or latte e foco; rubini i labbri, perle i denti; la gola e il petto ora avorio, ora alabastro. Una lingua viva è sempre propria, perchè la parola ti esce insieme con la cosa; una lingua morta è necessariamente impropria, perchè la trovi ne’ dizionarii e negli scrittori bella e fatta, mutilata di tutti quegli accessorii che il popolo vi aggiungeva, e che determinavano il suo significato e il suo colore. Così la nostra lingua, giunta a un alto grado di perfezione, che pure allora nella Eneide del Caro e nel Tacito del Davanzati mostrava la sua potenza, si arrestò