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Che importa servire a re gallo o latino,
Si sit idem hinc atque hinc non leve servitium?
Barbaricone esse est peius sub nomine, quam
Sub moribus?
Tutti barbari e tutti tristi. E il giovane, esclamando: improba secli conditio! e lamentando clades et Latii interitum,
Nuper ab occiduis illatum gentibus, olim
Pressa quibus nostro colla fuere iugo;
svolge l’occhio dallo spettacolo e cerca un asilo in Orazio e Catullo. L’anno appresso alla calata di Carlo VIII l’Ariosto recita l’orazione inaugurale degli studi nel duomo di Ferrara, De laudibus philosophiae, e poi la reca in esametri. Scrivea pure sonetti, canzoni, elegie, dove si sente lo studio del Petrarca. Nel 93 a diciannove anni scrive un’elegia per la morte di Leonora d’Aragona, moglie del duca di Ferrara. Nell’introduzione si scopre ancora lo studente e il dilettante:
Rime disposte a lamentarvi sempre,
Accompagnate il miserabil core
In altro stil che in amorose tempre:
Che or giustamente da mostrar dolore
Abbiamo causa, ed è sì grave il danno
Che appena so s’esser potria maggiore.
I suoi amori in italiano sono platonici, alla petrarchesca, in latino sono sensuali, all’oraziana. In latino tiene Megilla tra le braccia, e non può credere a’ suoi occhi, e dice:
An haec vera Megilla
Cuius detineor sinu?