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trojani, romani, franchi e saraceni, santi e cavalieri erano nell’immaginazione un mondo solo; Aristotile, Platone, Tommaso e Bonaventura, erano una sola scienza. Il maggiore studio era sapere, e chi sapeva più, era più ammirato; nessuno domandava quanta concordia e profondità era in quel sapere. Perciò venne a grandissima fama Ser Brunetto Latini. Il suo Tesoro e il Tesoretto furono per lungo tempo maraviglia delle genti, stupite che un uomo potesse saper tanto, ed esporre in verso Aristotele e Tolomeo. Di che nessuno oggi saprebbe più nulla, se Dante non avesse eternato l’uomo e il suo libro in quei versi celebri:


Sieti raccomandato il mio Tesoro,
Nel quale io vivo ancora.


La scienza in Brunetto è materia così rozza e greggia, com’è la vita religiosa in Jacopone e la vita politica in Rustico. Il suo studio è di cacciar fuori tutto quello che sa, così crudamente come gli è venuto dalla scuola, e senza farlo passare a traverso del suo pensiero. Ciò che dice, gli pare così importante, e pareva così importante a’ suoi contemporanei, ch’egli non chiede altro, e nessuno chiedeva altro a lui. Quella sua enciclopedia non è che prosa rimata.

Brunetto fu maestro di Guido Cavalcanti e di Dante, che compirono i loro studii nell’Università di Bologna, dalla quale uscì pure Cino da Pistoja. Si sente in tutti e tre la scuola di Guido Guinicelli. Amore si scioglie dalle tradizioni cavalleresche, e diviene materia di teologia e di filosofia. Si discute sulla sua origine, su’ suoi fenomeni e sul suo significato. Nella sua apparenza volgare esso adombra quella forza che move il sole e le stelle, il poeta lascia al volgo il senso letterale, e cerca un sopra senso, il senso teologico e filosofico, di cui quello sia il velo. Il lettore con le sue abitudini scientifiche disprezza