nel cerchio degli amici e con la famiglia attorno, porgendo utili ammaestramenti intorno all’arte della vita. La quale arte si può ridurre in questa sentenza, che l’uomo dee tener lontane da sè le passioni e le turbazioni dello spirito e serbar regola e modo in tutte le cose. Questo equilibrio interno, metà epicureo, è quella pace che Dante cercava nell’altro mondo, e che Battista ti offre in questo mondo, il nuovo principio etico generato dagli antichi moralisti, e che Lorenzo Valla chiama argutamente la Voluttà. Il concetto ascetico che l’uomo non può conseguire vera felicità in terra è alieno dal quattrocento, che non nega e non afferma il cielo e si occupa della terra. Battista non ti dà una filosofia con deduzioni rigorose; non cessa di essere un buon cristiano e riverente alla religione, e non sospetta egli e non sospettavano i contemporanei, a quali pericolose conseguenze traeva quello indirizzo. Non è il filosofo; è l’artista e il pittore della vita, come gli si porgeva. I suoi ragionamenti non movono da principii filosofici, ma dalle sentenze de’ moralisti antichi, dagli esempli della storia, e soprattutto dalla sua esperienza della vita. Il suo uomo non è un’astrazione, un’idea formata da concezioni anticipate, ma è preso dal vero nella vita pratica, co’ suoi costumi e le sue inclinazioni. Pinge e descrive più che non ragiona, e non è un descrivere letterario o rettorico, ma rapido, evidente, concentrato, come chi ha innanzi agli occhi il modello e n’è vivamente impressionato. Onde riesce pittore di costumi e di scene di famiglia, o campestri, o civili, impareggiabile. E non hai già la vuota esteriorità, come spesso è in Lorenzo; ma dentro è il nuovo ideale dell’uomo savio e felice, che par fuori nella calma decorosa e composta de’ lineamenti, a cui fa spesso da contrapposto la faccia disordinata dell’uomo sregolato e turbato. È l’onesto borghese idealizzato, che succede al tipo ascetico o cavalleresco del medio evo, un borghese