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Ecco, a così breve distanza, la Commedia e l’Anticommedia, la Divina Commedia e la sua parodia, la commedia umana! e sullo stesso suolo e nello stesso tempo Passavanti, Cavalca, Caterina da Siena, voci dell’altro mondo, soverchiate dall’alto e profano riso di Giovanni Boccaccio. La gaia scienza esce dal suo sepolcro col suo riso incontaminato; i trovatori e i novellatori spenti dai ferri sacerdotali tornano a vita e ripigliano le danze e le gioiose canzoni nella guelfa Firenze; la novella e il romanzo, proscritti, proscrivono alla lor volta e rimangono padroni assoluti della letteratura. Certo, questo mutamento non viene improvviso, come appare un moto di terra; lo spirito laicale è visibile in tutta la letteratura e si continua con tradizione non interrotta, come s’è visto, insino a che nella Divina Commedia prende arditamente il suo posto e si proclama anch’esso sacro e di diritto divino, e Dante laico assume tono di sacerdote e di apostolo. Ma Dante il fa con tanta industria che tutto l’edificio stia in piedi e la base rimanga salda. La sua Commedia è una riforma; la commedia del Boccaccio è una rivoluzione, dove tutto l’edificio crolla e sulle sue rovine escono le fondamenta di un altro.

La Divina Commedia uscì dal numero de’ libri viventi, e fu interpretata come un libro classico, poco letta, poco capita, pochissimo gustata, ammirata sempre. Fu divina, ma non fu viva. E trasse seco nella tomba tutti quei generi di letteratura, i cui germi appaiono così vivaci e vigorosi ne’ suoi schizzi immortali, la tragedia, il dramma, l’inno, la laude, la leggenda, il mistero. Insieme perirono il sentimento della famiglia e della natura, e della patria, la fede in un mondo superiore, il raccoglimento e l’intimità, le caste gioie dell’amicizia e dell’amore, l’ideale e la serietà della vita. In questo immenso mondo, crollato prima di venire a maturità e produrre tutti i suoi frutti, ciò che rimase fecondo, fu Malebolge, il re-