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borghesi. La qual virtù è in questo che il principe usa la sua potenza a protezione dei minori, e soprattutto degli uomini valenti d’ingegno e di studii e poco favoriti dalla fortuna, come furono Primasso e Bergamino, verso i quali si mostrarono magnifici l’abate di Cligny e Can Grande della Scala. Così è molto commendato il primo Carlo d’Angiò, il quale, potendo rapire e sforzare due bellissime fanciulle, figliuole di un ghibellino, amò meglio dotarle magnificamente e maritarle. La virtù in questi potenti signori è di non fare malvagio uso della loro forza, anzi di mostrarsi liberali e cortesi. Già cominciava in quel mondo a parer fuori una classe di letterati, che viveva alle spese di questa virtù, celebrando con giusto cambio una magnificenza, della quale assaporavano gli avanzi. L’anima altera di Dante mai vi si piegava, nè gli fu ultima cagione d’amarezza quel mendicare la vita a frusto a frusto e scendere e salire per le altrui scale. Ma i tempi non erano più all’eroica, e il Petrarca si lasciava dotare e mantenere da’ suoi mecenati, e il Giovanni Boccaccio vivea de’ rilievi della corte di Napoli, comicamente imbestiato, quando il mantenimento non era dicevole a un par suo, disposto da’ buoni o dai cattivi cibi al panegirico o alla satira. Tale è il tipo di ciò che in questo mondo boccaccevole è chiamato la virtù, una liberalità e gentilezza d’animo, che dalle castella penetra nelle città e fino ne’ boschi asilo de’ masnadieri, della quale sono esempio Natan, e il Saladino, e Alfonso, e Ghino di Tacco, e il negromante di Ansaldo. Questo se non è propriamente senso morale, è pur senso di gentilezza, che raddolcisce i costumi e spoglia la virtù del suo carattere teologico e mistico, posto nell’astinenza e nella sofferenza, le dà aspetto piacevole, più conforme ad una società colta e allegra. Vero è che siccome il caso, regolatore di questo mondo, ne fa di ogni maniera, talora l’allegria che vi domina è funestata da tristi acci-