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spirò dentro il Boccaccio e di racconti diversi di tempi, di costumi e di tendenze fece il mondo vivente del suo tempo, la società contemporanea, della quale egli aveva tutte le tendenze nel bene e nel male.

Non è il Boccaccio uno spirito superiore che vede la società da un punto elevato e ne scopre le buone e cattive parti con perfetta e severa coscienza. È un artista che si sente uno con la società in mezzo a cui vive, e la dipinge con quella mezza coscienza che hanno gli uomini fluttuanti fra le mobili impressioni della vita senza darsi la cura di raccogliersi e analizzarle. Qualità che lo distingue sostanzialmente da Dante e dal Petrarca, spiriti raccolti ed estatici. Il Boccaccio è tutto nel mondo di fuori tra’ diletti e gli ozii e le vicissitudini della vita e vi è occupato e soddisfatto, e non gli avviene mai di piegarsi in sè, di chinare il capo pensoso. Le rughe del pensiero non hanno mai traversata quella fronte e nessun’ombra è calata sulla sua coscienza. Non a caso fu detto Giovanni della tranquillità. Sparisce con lui dalla nostra letteratura l’intimità, il raccoglimento, l’estasi, la inquieta profondità del pensiero, quel vivere dello spirito in sè, nutrito di fantasmi e di misteri. La vita sale sulle superficie e vi si liscia e vi si abbellisce. Il mondo dello spirito se ne va: viene il mondo della natura.

Questo mondo superficiale, appunto perchè vuoto di forze interne e spirituali, non ha serietà di mezzi e di scopo. Ciò che lo move, non è Dio, nè la scienza, non l’Amore unitivo dell’intelletto e dell’atto, la grande base del medio evo; ma è l’istinto o l’inclinazione naturale: vera e violenta reazione contro il misticismo. Ti vedi innanzi una lieta brigata, che cerca dimenticare i mali e le noie della vita, passando le calde ore della giornata in piacevoli racconti. Era il tempo della peste, e gli uomini con la morte innanzi si sentivano sciolti da ogni freno e si abbandonavano al carnevale della loro