tesco; e l’emancipazione dell’uomo, il quale, percorse le vie del senso e dell’amore sensuale, è dalla scienza innalzato all’amore di Dio. Anche la forma allegorica è dantesca, non essendo quelle apparizioni che simboli di concetti, e figure di quelle separate intelligenze che presiedono alle stelle e regolano i modi dell’animo. Tutto questo si trova inviluppato in un mondo mitologico, che è la sua negazione, animato da un naturalismo spinto sino alla licenza. Apuleio e Longo contendono con Dante nel cervello dello scrittore. Il romanzo, che nell’intenzione dovrebbe essere spirituale, è nel fatto soverchiato da un vivo sentimento della bella natura e de’ piaceri amorosi. Si vede il giovane che sta con Dante in astratto, ma ha pieno il capo di mitologia, di romanzi greci e franceschi, di avventure licenziose, e fa di tutto una mescolanza. Se qualche cosa in questa noiosa lettura ti alletta, è dove lo scrittore si abbandona alla sua natura, com’è la comica descrizione che Acrimonia fa del suo vecchio marito, nel quale intravvedi già il povero dottore a cui Paganino rubò la moglie, e com’è qua e là qualche pittura e sentimento idillico. Pure in un mondo così dissonante e scordato si sviluppa chiaramente un entusiasmo giovanile per la coltura e l’umanità. Ci si sente il secolo che scuote da sè la rozza barbarie, e s’incammina fidente verso un mondo più colto e polito. Ameto si spoglia il ruvido abito del medio evo, e guidato dalle Muse prende aspetto gentile e umano. Le ombre del misticismo si diradano nel tempio di Venere. Dante canta la redenzione dell’anima nell’altro mondo. Il Boccaccio canta la fine della barbarie e il regno della coltura. È lo spirito nuovo, da cui più tardi uscirà Lorenzo de' Medici e Poliziano.
Gittando ora un solo sguardo su questi lavori, si possono raccogliere con chiarezza caratteri della nuova cultura. Le teorie in astratto rimangono le stesse, e il Boc-