quella vita tutta attiva e terrena, ed erano disformi al suo genio, superficiale ed esterno, privo di ogni profondità ed idealità: perciò riesce monotono, prolisso e volgare. Oggi, a tanta distanza c’è difficile a concepire, come non abbia trovato subito il suo genere, che è la rappresentazione della vita nel suo immediato, sciolta da ogni involucro non solo teologico e scolastico, ma anche mitologico e cavalleresco. Ma lento è il processo dell’umanità anche nell’individuo, che passa per molte prove e tentennamenti prima di trovare se stesso. Il Boccaccio, amico delle Muse, stima co’ suoi contemporanei che le cose volgari non possono fare un uomo letterato e che si richiedono più alti studii. E gli alti studii sono il latino e il greco, la conoscenza dell’antichità. Il suo maggior titolo di gloria era l’ampia erudizione, che lo rendeva superiore a Dante ed anche al suo Silvano, il Petrarca. Trova innanzi a sè forme consacrate e ammirate, le forme epiche di Virgilio e Stazio, le forme liriche di Dante e di Silvano, e in quelle forme vuol realizzare un mondo prosaico che gli si mova dentro. Nei suoi primi lavori salta fuori tutto il suo mondo greco-romano, mitologico e storico, con grande ammirazione de’ contemporanei. Gli amori di Troilo e Griseida, d’Arcita e Palemone passarono le Alpi e fecondarono l’immaginazione di Chaucer; i quadri storici e mitologici della sua visione ispirarono molti Saggi e molti Tempii dell’umanità. Chi legge i Reali di Francia e tante scarne traduzioni di romanzi francesi allora in voga può concepire che gran miracolo dovè parere la Teseide, il Filostrato e il Filocolo. Anche nelle sue Rime si vede l’uomo nuovo alle prese con forme vecchie. Vi trovi il solito repertorio, l’innamoramento, i sospiri, i desiri, i pentimenti, il volgersi a Dio e alla Madonna, ma la bella unità lirica del mondo di Dante e del Petrarca è rotta, ed ogni idealità è scomparsa. Dietro alle stesse