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geri di Loria e Manfredi. Il poeta dà libero corso alla sua vasta erudizione, intento più a raccogliere esempli che a lumeggiarli: sicchè nessuno de’ suoi personaggi è giunto a noi così vivo, come è l’Omero e l’Aristotile del Limbo dantesco, o l’Omero del Petrarca.

Siamo infine nella sala di Amore e Venere. E come innanzi la storia, qui vien fuori la mitologia, e senti le prodezze amorose di Giove, Marte, Bacco e Pluto ed Ercole. Poi vengono gli amori di Giasone, Teseo, Orfeo, Achille, Paride, Enea, Lancillotto.

Scienza, gloria, amore, ecco la vita quando non vi si intrometta la Fortuna, e colpisca Cesare o Pompeo nel sommo della felicità. Percorsi i circoli della vita, comincia il tripudio, o la beatitudine; e non sono già le danze della luce sante nel trionfo di Cristo o degli Angeli, ma le voluttuose danze di un paradiso maomettano, o le danze delle ninfe napolitane a Baia. Il poeta s’innamora, e mentre in sogno si tuffa negli amorosi diletti e tiene fra le braccia la donna, si sveglia, e la sua guida gli dice:

ciò che porse
Il tuo dormire alla tua fantasia
Tutto averai.

E mentre la visione si dilegua, ella lo raccomanda al Sir di tutta pace, all’Amore.

Con le stesse forme e con lo stesso disegno di Dante il Boccaccio riesce a un concetto della vita affatto opposto, alla glorificazione della carne, nella quale è il riposo e la pace. La Divina Commedia qui è cavata fuori del soprannaturale in cui Dante aveva inviluppata l’umanità e sè stesso e il suo tempo, ed è umanizzata, trasformata in un real castello, sede della coltura e dell’amore. Se non che il Boccaccio non vide che quelle forme contemplative e allegoriche, naturale involucro di un mondo mistico e soprannaturale, mal si attagliavano a