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l'uomo antico, la spensierata giovialità del Boccaccio è l’ingresso nel mondo a voce alta e beffarda della materia o della carne, la maledetta, il peccato; è il primo riso di una società più colta e più intelligente, disposta a burlarsi dell’antica; è la natura e l’uomo che pure ammettendo l’esistenza di separate intelligenze, non ne tien conto, e fa di sè il suo mezzo e il suo scopo.
Questo tempo fu detto di transizione. Vivevano insieme nel seno degli uomini due mondi, il passato nelle sue forme, se non nel suo spirito, ed un mondo nuovo che si affermava come reazione a quello, fondato sulla realtà presa in sè stessa e vuota di elementi ideali. Erano in presenza il misticismo con le sue forme ricordevoli del mondo soprannaturale, e il puro naturalismo. Ma il misticismo, indebolito già nella coscienza, era divenuto abituale e tradizionale, applaudito nel Petrarca non come il mondo sacro, ma come un mondo artistico e letterario. Il naturalismo al contrario sorgeva allora in piena concordia con la vita pratica e coi sentimenti, con tutti gli allettamenti della novità. Questo mutamento nello spirito dovea capovolgere la base della letteratura. Il romanzo e la novella, rimasti generi di scrivere volgari e scomunicati, presero il sopravvento. Al mondo lirico, con le sue estasi, le sue visioni, e le sue leggende, il suo entusiasmo, succede il mondo epico o narrativo, con le sue avventure, le sue feste, le sue descrizioni, i suoi piaceri e le sue malizie. La vita contemplativa si fa attiva; l’altro mondo sparisce dalla letteratura; l’uomo non vive più in ispirito fuori del mondo, ma vi si tuffa e sente la vita e gode la vita. Il celeste e il divino sono proscritti dalla coscienza, vi entra l’umano e il naturale. La base della vita non è più quello che dee essere; ma quello che è; Dante chiude un mondo; il Boccaccio ne apre un altro.
Mettiamo ora il piè in questo mondo del Boccaccio.