e al suo cuore. Misticismo, platonicismo, scolasticismo, tutto il mondo dantesco, non ha alcun senso per lui. Non solo questo mondo gli rimane estraneo come coltura, ma ancora più come sentimento. E gli manca non solo il sentimento religioso, ma fino quella certa elevatezza morale che talora ne fa le veci. Spento è in lui il cristiano, e anche il cittadino. Non gli è mai venuto in mente che servire la patria e dare a lei l’ingegno e le sostanze e la vita è un dovere così stretto, come è il provvedere al proprio sostentamento. Dietro al cittadino comincia a comparire il buon borghese che ama la sua patria, ma a patto non gli dia molto fastidio, e lo lasci attendere alla sua industria, e non lo tiri per forza di casa o di bottega. De’ guelfi e ghibellini è perduta la memoria, tanto che il Boccaccio crede doverne spiegare il significato. E non si persuade come Dante siesi potuto mescolare nelle pubbliche faccende, e ne reca la cagione alla sua vanità, ed ha quasi l’aria di dirgli: ben ti sta. Non voglio dire con questo che il Boccaccio fosse uomo dispregiatore della religione o della virtù o della patria; sciolto era di costumi, pure tutti i doveri comuni della vita li adempiva con la stessa puntualità e diligenza degli altri, e molte legazioni gli furono commesse da’ suoi concittadini. Ma l’età eroica era passata; la nuova generazione non comprendeva più le lotte e le passioni de’ padri; il carattere era caduto in quella mezzanità che non è ancora volgarità, e non è più grandezza; della religione, della libertà, dell’uomo antico c’erano ancora le forme, ma lo spirito era ito. Di vita pubblica qualche apparenza era ancora in Toscana, sede della cultura; nelle altre parti era vita di corte. L’erudizione, l’arte, gli affari, i piaceri costituivano il fondo di questa nuova società borghese e mezzana, della quale ritratto era il Boccaccio, gioviale, cortigiano, erudito, artista. Se la malinconia dell’estatico Petrarca ti presentava un simulacro del-