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intenzioni bisogna andare fino a Voltaire. Giovanni Boccaccio sotto un certo aspetto fu il Voltaire del secolo decimoquarto.

Molti se la pigliano col Boccaccio e dicono ch’egli guastò e corruppe lo spirito italiano. Egli medesimo in vecchiezza fu preso dal rimorso e finì chierico, condannando il suo libro. Ma quel libro non era possibile se nello spirito italiano non fosse già entrato il guasto, se guasto s’ha a dire. Ove le cose, di cui ride il Boccaccio, fossero state venerabili, poniamo pure ch’egli avesse potuto riderne, i contemporanei ne avrebbero sentita indignazione. Ma fu il contrario. Il libro parve rispondere a qualche cosa che volea da lungo tempo uscir fuori dalle anime, parve dire a voce alta ciò che tutti dicevano nel loro segreto, e fu applauditissimo con tanto successo che il buon Passavanti se ne spaventò e vi oppose come antidoto lo Specchio di penitenza. Il Boccaccio fu dunque la voce letteraria di un mondo, quale era già confusamente avvertito nella coscienza. C’era un segreto, egli lo indovinò, e tutti batterono le mani. Questo fatto in luogo d’essere maledetto, merita di essere studiato.

Il carattere del medio evo è la trascendenza, un di là oltreumano ed oltre naturale, fuori della natura e dell’uomo, il genere e la specie fuori dell’individuo, la materia e la forma fuori della loro unità, l’intelletto fuori dell’anima, la perfezione e la virtù fuori della vita, la legge fuori della coscienza, lo spirito fuori del corpo, e lo scopo della vita fuori del mondo. La base di questa teologia filosofica è l’esistenza degli universali. Il mondo fu popolato di esseri o intelligenze, sulla cui natura molto si disputò: sono esse idee divine? Sono generi e specie reali? sono specie intelligibili? Questo edificio gemeva già sotto i colpi dei nominalisti, cioè di quelli che negavano l’esistenza de’ generi e delle specie, e li chiamavano puri nomi, e dicevano esistere solo il singolo,