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eguale, con perfetta simetria, ispirata da Venere, dea della bellezza e della grazia. Il grottesco, il gotico, gli angoli, le punte, le ombre, l’indefinito, il dissonante, il prolisso, il superfluo, il volgare, il difforme, tutto è cacciato via da questo tempio dell’armonia, maraviglia di arte, che chiude un secolo e ne annunzia un altro. L’artista gode; l’uomo è scontento. Perchè sotto a questa bella forma così levigata e pulita vive un povero core d’uomo, nutrito di desiderii e d’immagini, a cui lo tira la natura, da cui lo allontana la ragione, senza la forza di uscire dalla contraddizione e senza la ferma volontà di realizzarle. L’uomo è minore dell’artista. L’artista non posa che non abbia data l’ultima finitezza al suo idolo; l’uomo non osa di guardarsi, e abbozza i moti del proprio cuore, e salta nelle più opposte direzioni, quasi tema di fermarsi troppo, di esser costretto a volere e a risolversi. Perciò quella bella superficie riman fredda; non ha al di sotto profondità di esplorazione, o energia di volontà e di convinzione. La situazione poteva esser tragica, rimane elegiaca; poesia di un’anima debole e tenera, che si effonde malinconicamente in dolci lamenti, assai contenta, quando possa vivere in immaginazione e fantasticare; l’uomo svanisce nell’artista. Gli è che a quest’uomo mancava quella fede seria e profonda nel proprio mondo, che fece di Caterina una Santa, e di Dante un poeta. Quel mondo giace nel suo cervello già decomposto e in fermentazione, mescolato con altre Divinità. Ciò che di più serio si move nel suo spirito, il sentimento dell’arte congiunto con l’amore dell’antichità e dell’erudizione. È in abbozzo l’immagine anticipata dei secoli seguenti, di cui fu l’idolo. L’arte si afferma come arte, e prende possesso della vita.

Così il medio evo, quando appena cominciava a svilupparsi negli altri popoli, presso di noi per una precoce cultura si dissolveva prima che avesse potuto espli-