Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/294


― 284 ―

sparita dalla terra, che ti apparisce in sogno e ti asciuga gli occhi e ti prende per mano e ti parla: consolazioni malinconiche, interrotte da una lagrima, quando ti svegli. Dante si asciuga presto la lacrima, e si getta fra le onde agitate dell’esistenza, e si rifà un ideale e lo chiama Beatrice. A lui manca il tempo di piangere, perchè tiene nel suo petto due secoli, ed ha la forza di comprenderli e realizzarli. Il Petrarca giunge qui, che è già stanco e disgustato dell’esistenza, vi giunge con l’anima di solitario e di romito, e non ha altra forza che di piangere:

Ed io son un di quei che il pianger giova.

Piange la fine delle illusioni, il vacuo dell’esistenza, il perire di tutte le cose:

Veramente siam noi polvere ed ombra.

Così dopo vane speranze e vani timori, quest’anima tenera e impressionabile rinunzia alla lotta, e si abbandona, e si separa da un mondo, dove invano erasi sforzata di penetrare, e si ritira nella solitudine della sua immaginazione con Laura, chiamando partecipe de’ suoi lamenti l’usignuolo, e il vago augelletto, e la valle e il bosco e l’aura e l’onda. La scissura interna dà luogo ad una calma elegiaca; il cuore stanco si riconcilia con l’intelletto. Il passato, cagione di gioje e di affanni, gli pare un sogno; la vita gli pare insipida; vivere è un breve sonno; morire è svegliarsi tra gli spiriti eletti; quando gli occhi si chiudono, allora si aprono nell’eterno lume; il mondo cristiano, non contraddetto mai dal suo intelletto, ora penetra nel suo cuore, gli appare come un mondo nuovo, che dipinge con accenti di maraviglia:

Come va il mondo! or mi diletta e piace
Quel che più mi dispiacque; or veggio e sento
Che per aver salute ebbi tormento
E breve guerra per eterna pace.