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suo animo onesto una indignazione eloquente. Ed è da questi sentimenti, che è uscito questo capolavoro di descrizione:
«Molti nelle rie opere divennero grandi, i quali avanti nominati non erano, e nelle crudeli opere regnando cacciarongli molti cittadini e feciongli rubelli, e sbandeggiarono nell’avere e nella persona. Molte magioni guastarono, e molti ne puniano, secondo che tra loro era ordinato e scritto. Niuno ne campò che non fosse punito. Non valse parentado, nè amistà; nè pena si potea minuire, nè cambiare a coloro a cui determinate erano. Nuovi matrimonii niente valsero, ciascuno amico divenne nimico; i fratelli abbandonavano l’un l’altro, il figliuolo, il padre, ogni amore, ogni umanità si spense. Patto, pietà nè mercè in niuno mai si trovò. Chi più dicea: muojano, muojano i traditori, colui era il maggiore.»
Tra’ proscritti fu Dante. Condannato in contumacia, non rivide più la sua patria. Ira, vendetta, dolore, disdegno, ansietà pubbliche e private, tutte le passioni che possono covare nel petto di un uomo, lo accompagnarono nell’esilio. Chi ha visto l’indignazione di Dino, può misurare quella di Dante.
Il Priorato fu il principio della sua rovina, com’egli dice, ma fu anche il principio della sua gloria. Non era uomo politico; mancavagli flessibilità e arte di vita; era tutto un pezzo, come Dino. Priore, volle procurare una concordia impossibile, e non riuscì che a farsi ingannare da’ Neri in Firenze e da Bonifazio in Roma. Esule, non valse a mantenere quella preminenza che era debita al suo ingegno e alla sua virtù, si lasciò soverchiare dai più audaci arrischiati, e non potendo impedire e non volendo accettare molti disegni, si segregò e si fece parte per sè stesso. Toltosi alle faccende pubbliche, ripiegatosi in sè, sviluppò tutte le sue forze intellettive e poetiche.