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282 | della lega lombarda |
moci, stringiamo le destre, crolliamo la catena, proviamo se Lombardo ancora sia il sangue che ci scalda le vene.» Pungevano acremente i concitati animi le concitate parole, e già ridevano gli occhi degli ascoltanti per la celeste voluttà di una santa vendetta, di una libertà perduta che ritrovavano. Si unirono gli animi nella unità della patria che volevano francare, e da questa come da rocca al Barbarossa minacciavano. Fermarono i Veronesi messaggi con quanti si abboccarono, convocassesi un segreto parlamento a deliberare il come ed il quando della levata; i deputati delle città che volevano collegarsi cautamente vi andassero, e con libere ma concordi sentenze stabilissero le ragioni, lo scopo ed il vincolo della Lombarda Lega1. Il dì settimo di Aprile dell’anno 1167 fu il tempo, la Badia di S. Giacomo di Pontida2 il luogo destinato a’ salutari congressi. Monaci di S. Benedetto abitavano quella famosa Badia. Fortunati Monaci, deputati dai Cieli ad ospiti della raminga libertà d’Italia! Essi avevano ricevuto nel V secolo dalle mani del Romano S. Benedetto sul Monte Cassino il codice della Romana libertà, nel XII lo restituivano alla patria nella Badia di Pontida.
Intanto le pratiche di quei generosi non potevano tanto celatamente condursi, che non ne arrivasse un sentore ai Podestà. Quel Conte Disce, che martoriava i Milanesi, subodorò qualche cosa, e con avventati consigli cercò rompere le fila dei trattati, dei quali correva già qualche voce confusa, che metteva gli animi in grande aspettazione. Calcò il giogo con cieco furore; proscriveva le persone, taglieggiava le sustanze. Cento Milanesi delle più gentili famiglie mandò per conceputi sospetti nelle prigioni di Pavia: fece una grossa levata di danaio. Sopravvenivano più certi, e più minacciosi gli annunzi: collegarsi le città Lombarde; stringersi la Lega per le contrade veneziane; arrollarsi mi-