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libro terzo 229

vano ai legittimi padroni, perchè Milanesi, e ne facevano cosa propria. Coi debitori imitavano il Cunin1. Così manomesse le sustanze, non andavano immuni i corpi. Quei Podestà mentre calcavano con ambo i piedi il popolo milanese, temevano sempre che la sfrenata tirannide non partorisse furori in chi la pativa. Cercarono distogliere le menti da qualunque macchinazione di giusto sollevamento con servili fatiche. Trasse il Cunin gli onesti cittadini a recar pietre e calce alla edificazione di torri e palagi nei nuovi Borghi. In quello di Noceto, che era il più vasto, fu innalzata una torre, che in onore di Federigo fu detta dal Tedesco Trionfale, per conservarvisi il tesoro del Principe2; in Monza un palagio, un altro in Vigentino, un castello in Landriano, e finalmente un altro palagio, sede de’ Podestà, in Noceto3. Comprimevano i corpi, per uccidere gli spiriti. Ma poco stettero in piedi questi infami monumenti delle forestiere tristizie, rovesciati dalla risurrezione lombarda4. Tuttavolta io penso, non avere potuto il tempo ed i trionfi cancellare dai cuori la dolorosa memoria di que’ giorni, in cui uomini che precorsero il mondo nel concetto e nell’acquisto della libertà, divisero co’ giumenti la fatica e la sferza. Non pera tra noi la dolorosa ma veneranda memoria, perchè la vendetta di Legnano non agguagliò la grandezza dell’oltraggio, ed i nipoti non si scompagnano ancora dagli avi nel consorzio del martirio.

Ma vegliavano i Cieli sulla travagliata Italia. Poichè a quei dì il Romano Pontefice aveva associati i suoi destini a quelli della libertà lombarda. Papa Alessandro non poteva più tenersi sicuro in Italia. Federigo dopo la resa di Milano non era più tornato in Roma: ma le sue vittorie come gli avevano inchinate innanzi tutte le Repubbliche,

  1. Vedi Docum. I.
  2. Sir. Raul. p. 1188.
  3. Idem p. 1189.
  4. Fumagalli. Antichi. Long. Milan. Dissert. XI. p. 74.