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CAPO XXVI. | 275 |
appellata la terra del vino1. In Sicilia già veniva la vite prosperamente al tempo d’Omero, e sapevasi farne il vino2. Così la cultura dell’ulivo, albero indigeno di certe parti dell’Oriente, s’era di molto dilatata tra noi. Davasi accorto studio anche al governo delle api, qua pascolanti sopra piante gratissimo3: quindi abbondavasi di buon miele e di cera. Chè, già non trascurava il diligente cultore ogni qualunque opportuna e utile industria.
Una delle più estese e più importanti cure delle nostre popolazioni erasi tuttavia la pastorizia. A questa gli abitanti delle pianure intorno al Po, gli Appuli, i Sanniti, i Lucani, e generalmente tutte le nazioni montane della bassa Italia, studiosissime nella educazione del bestiame, le dovevano in comune la loro vantata opulenza. Lodatissime erano le lane della Venezia e de’ pingui paschi lungo il Po candide e molli4: buoni animali lanuti avea la Toscana ne’ suoi pascoli di maremma5: bensì tutte superava in morbidezza e bianchezza il vello delle pecore di Puglia,
- ↑ Oconotria. Vedi Tom. i. p. 61.
- ↑ Odyss. ix. 110-111.
- ↑ Principalmente il thymus vulgaris molto copioso nei colli marittimi della Toscana: la syderitis romana, ed altre molte.
- ↑ Strabo v. p. 151.; Plin. iii. 48.; Columell. vii. 2.; Horat. iii. od. 16. 35.; Juvenal. viii. 15.; Martial. xiv. ep. 155.
- ↑ Lycophr. 1241. Lane toscane adopravano nei secoli antichi le donne latine: et vellere Thusco vexatae, duraeque manus. Juvenal. vi. 289.