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CAPO XXV. | 261 |
ordinarie manifatture, da cui traevano i facitori utile copioso1. Moltissimi per ciò di questi vasi si trasportavano dai mercatanti nei porti dell’Etruria, massime in quel di Tarquinia, e in altre navali stazioni delle nostre ricche maremme2: tanto che appresso, in secoli meno antichi, potè foggiarsi senza inverisimiglianza il divolgato racconto della venuta colà di formatori e pittori corinti o sicioni, condottivi da Demarato3. È bensì vana cosa il credere istoricamente
- ↑ Un esemplare di coteste figuline corintie si ha nel vaso pubblicato da Dodwell, Classical tour trough Greece. T. ii. p. 196.
- ↑ Vedi Tom. i. p. 143. 157.
- ↑ Parrà un fatto singolare che il nome di Euchira appaia in una coppa rarissima del Principe di Canino. Dessa è di finissima terra, senza pittura esterna, e di forma consueta (tav. c. 2); nell’interno dentro a un circolo v’è dipinta la Chimera di stile arcaico, rappresentatavi della solita forma mista di leone, di capra e di serpente. Al di fuori ha per leggenda da un lato EV+EPOS; EΠOIESEN; dall’altro ΗΟΡΑΟΤΙΜΟΗVΙΗVS (sic.), Non vorrei già affermare che questi fosse lo stesso Euchira mentovato da Plinio; bensì è notabilissima cosa il ritrovare in un vasaio, e precisamente sopra un vaso rinvenutosi a Vulci, il di lui omonimo.
non lasciarono nessun sepolcro senza vuotarlo, di modo che raccogliendo gran copia di cotesti vasi e vendendoli carissimo, riempierono Roma di Necrocorinthia: questo era il nome che da vasi a coteste opere tratte fuori dei sepolcri, massimamente a quelle di terra cotta. Furono in prima molto stimate, e avute in pregio quanto i bronzi di Corinto; indi si cessò dal ricercarle, non tanto perchè vennero meno, quanto perchè la più parte delle figuline che ne restavano non valevano le prime». Strabo viii. p. 263.