Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
CAPO XXV. | 239 |
lità scultura pare, che possa probabilmente credersi, la sedia reale che Arimno, uno dei nostri re o lucomoni aveva dedicato a Giove Olimpico1. Nè forse Plinio esagerava dicendo, che i lavori toscanici erano già gran tempo diffusi per il mondo2. Tutta Italia, non che Roma sola, trovavasi inondata di simulacri di mano d’artefici toschi3. In Etruria per certo non eravi città, la quale non avesse opere pregiate al pari di Bolsena, entro alle cui mura si rinvennero due mila statue4. Chè, dove tutto facevasi in nome del comune del popolo, il genio avea sempre larghissimo campo d’adoperarsi producendo a onor della religione, o della patria, o de’ valorosi cittadini, nobili frutti dell’umano ingegno.
Già di buon’ora lo spirito greco penetrava nel magistero dell’arti del disegno. Noi siamo d’avviso che i nostri Etruschi usando sino dal primo secolo di Roma con i Cumani ed altri Greci, o Samj, o Rodj dimoranti nell’Opicia5, cioè, nella Campania felice, togliessero principalmente da esso loro i semi di molte
- ↑ Θρόνος έστὶν Ἁρίμνου τοῦ βασιλεύσαντος ἐν Τυρσηνοῖς. ὂς πρῶτος βαρβὰρων ἁναθὴματι τὸν ἐν Ὀλυμπίᾳ Δία ἐδωρήσατο. Pausan. v. 12.
- ↑ Signa Tuscanica per terras dispersa, quae in Etruria factitata non est dubium. Plin. xxxiv. 7.
- ↑ Ingegnia Tuscorum fingendis simulacris Urbem inundaverant. Tertul. Apolog. 25.
- ↑ Plin. xxxiv, 7. ex Metrodoro Scepsio: Propter duo milia statuarum Volsinios expugnatos.
- ↑ Strabo xiv. p. 450.; Steph. v. Παρθενόπη. v. Πουτίολοι. Vedi Tom. i. p. 227. 228.