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198 CAPO XXIII.


Pure libri siffatti o religiosi, o storici che si fossero, dovean ritrovarsi a un modo per tutt’altre città italiane; nè di certo Catone può avere tratto i materiali delle sue celebrate Origini1 fuorchè da scritture nazionali: massime in quel tempo che l’antiche lingue erano vive, ed i popoli, ancorachè sommessi, erano pur sempre di costume Etruschi, Volsci e Sanniti.

L’Etruria ebbe così certamente una letteratura sua propria anteriore a quella di Roma. O piuttosto, come ripete Cicerone, l’Italia aveva uso inveterato di lettere e discipline innanzi che fosse Romolo2. Filosofia, nel senso greco della parola, o sia libera speculazione intorno l’uomo, la natura e la provvidenza, era sconosciuta affatto in Etruria. Dove, al contrario, lo spirito inceppato dal domma sacerdotale non poteva franco avanzarsi alla pienezza dell’umana ragione. Ma tal era, e non altra, la condizione universale della umanità nel vecchio mondo. Gl’Italiani da se non facevano che una parte della grande famiglia civile, camminavano insieme cogli altri verso uno stesso fine. Egli era per propagare e conservare agli uomini certi beni sociali, certi imprescrittibili diritti, certe li-

  1. Unde quaeque civitas orta sit Italica. Corn. Nep. Cato. 3.; Cicer. de Senect. ii.
  2. Romuli autem aetatem, jam inveteratis litteris atque doctrinis... fuisse cernimus. Cicer. de Rep. ii. 10.; Idem ap. August. de civ. Dei. xviii. 24. non rudibus et indoctis temporibus, sed jam eruditis et expolitis.