ghi apparentemente mirabili, o sia mofete, lagoni, bulicami, come quelli d’Ansanto1, del Soratte, di Sinuessa e di Pozzuoli2, creduti tanti averni o baratri infernali, porgevano per ogni dove fantastiche spiegazioni alla pia frode dell’interpetre. Nè diversamente certi fuochi naturali, o terreni ardenti per casuale accendimento del gaz idrogeno carbonato, quali tutt’ora si veggono a Velleja, Pietramala e Barigazza, davano ivi stesso ai piromanti buona opportunita di far valere le loro fraudi3. Così pure il volgo, sotto dolce inganno, tenea per divinizzate le fumanti e medicinali fonti d’Abano, dove un genio celestiale dava le sorti col mezzo di dadi gettati dal divoto in quall’onde4. Due città etrusche, Cere5 e Faleria6, avevano in casa altri dispensatori di sorti, genere di divinazione desideratissimo; ma più assai bramate, ed antichissime, eransi quelle che compartiva ai Latini la Fortuna detta Primitiva a Preneste,
- ↑ Vedi Tom. i. p. 262.
- ↑ Plin. ii. 93.; Serv. xi. 785. conf. Varro ap. Plin. xxi. 2.; Senec. Quaest. nat. vi. 28.
- ↑ Tali erano certamente quelle fiamme che per le feste di Vulcano uscivano di sotterra in un luogo del modenese (Plin. ii. 107.): nè diverso doveva essere il prodigio d’Egnazia ne’ Sallentini (Horat. i. sat. 5. 97 sqq. Plin. l. c.). Le belle sperienze di Volta mostrano quanto facilmente s’ottenessero siffatti miracoli.
- ↑ Sveton. Tiber. 14.; Lucan. vii. 193.
- ↑ Liv. xvi. 62.
- ↑ Liv. xxii. 1.; Plutarch. Fab.