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CAPO X. 223

si ripetevano ne’ libri a dispetto del vero, e si credean con fede dalla plebe riverente, posta dovunque sotto lo clientele de’ suoi patroni. Pure non mancavano al Lazio, nè mai poterono obliarsi in alcun tempo, le sue proprie deità, ed i miti nazionali più confacenti alle forme del primo vivere, come, per tacer d’altri, il silvestre Fauno, nume tutelare della cacciagione, de’ greggi e delle campagne; Silvano il santo, nulla meno propizio alle opre villesche; e Pale, dea benivolente ai pastori. Ma coteste favole disadorne non più s’addicevano al Lazio ingentilito. Laonde, come all’ultimo le vetuste religioni tolsero quivi affatto fogge pellegrine, così pure i miti ed i nomi antichi perdettero quasi del tutto il primo loro significato1.

In un angolo del Lazio presso alla foce del Numicio abitavano i Rutuli; popolo distinto dai Casci o prischi Latini, ancorchè suoi consanguinei2. E pare che anch’essi ugualmente s’attenessero per origine agli antichi Aurunci3. Furono secondo la fortuna del secolo, potenti e doviziosi4: mandarono fuori nelle forme consuete alcuna colonia sacra5: ed Ardea,

  1. Vedi più distintamente T. ii. c. xxii.
  2. Consanguinei Rutuli. Virgil. xii. 40.
  3. Aurunci Rutulique serunt, et vomere duros
    Exercent collis, atque horum asperrima pascunt.

    Virgil. xi. 3 18.; Idem. vii. 795.
  4. Rutuli gens... in ea regione atque in ea aetate divitiis praepollens. Liv. i. 57.
  5. Serv. vii. 796.