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222 CAPO X.

con vanità municipali, si ritrovarono aver per fondatore un eroe greco o troiano, e per nume protettore una qualche straniera deità. Così Tuscolo, Tivoli, Preneste, Ardea, non sol vantavano a grande onore Ulisse, Telegono, o il nocchiero del navilio di Evandro; ma possedevano in casa reliquie per autenticare le bugie. Mostravasi a Circeo la tazza che aveva servito ad Ulisse1: qui presso s’additava infra ombrosi mirti la tomba di Elpenore2: ed a Lavinio serbavano i sacerdoti il corpo insalato della troia che fu d’auspicio ad Enea3; nè d’altra lega han dovuto essere quei Penati ivi custoditi nel santuario, che fu detto a Timeo esser vere immagini troiane; ma nè l’istorico le vide, nè poteva divolgarsi mai per mistero di religione quali elle fossero4. Ad accreditare tuttavia e radicare coteste pompe false molto contribuiva, come suole ne’ grandi, la ruggine della vanità; nè rare erano le famiglie indigene latine che, al pari della Mamilia tuscolana discesa d’Ulisse, non innestasse i suoi rami col tronco di alcun’altra generazione eroica5. Non occorre il dire che tali borie signorili

  1. Strabo v. p. 161.
  2. Scylax p. 5.; Theophrast. Hist. plant. v. 9.
  3. Varrone r.r. n. 4. I titoli di coteste vanità municipali si tramandarono ugualmente ai secoli bassi: narrando Procopio (iv. 22.) aver veduta incorrotta e sana la nave con la quale Enea venne in Italia.
  4. Dionys. i. 67.
  5. Vedi p. 53.